sabato 6 maggio 2017

CI CHIAMA PER NOME

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». (Gv 10,1-10)
"Il pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori". Queste parole ricordano l'incontro fra Gesù e Zaccheo. Un po' come la pecorella smarrita ricorda la storia di Giobbe.
Spesso si parla e si pensa di Zaccheo come un "chiamato", un "salvato" da Gesù che ha fatto il primo passo verso di lui. Però Zaccheo su quell'albero c'è voluto salire. Poteva starsene a casa o fra la folla, ma lui ha scelto di salire. Perchè? Forse aveva bisogno di qualcosa; forse tutte le sue ricchezze non lo rendevano felice. Era ricco, sì, ma in cuor suo si sentiva misero. Quel salire sul sicomoro è stato il suo modo di gridare a Dio il suo malessere. Come Giobbe, che dopo essere stato colpito in tutto quella che aveva (affetti, beni, famiglia, salute), urla, quasi bestemmiando, a Dio. Quel salire, quell'urlare è la scintilla che dà il via a un cambiamento nella loro vita. È un punto di rottura. È la cosa che permette a Gesù, a Dio di chiamarli e chiamarci per nome e di dire: "Eccomi, sono qui e sono qui per te". È la cosa che permette a Dio di farci una proposta. Poi Dio ci lascia liberi di accettare o meno. Spetta a noi rispondere sì o no a ogni proposta, in ogni giorno, in ogni piccolo bivio quotidiano. Sono scelte spesso controcorrente, che però ci cambiano la vita come l'hanno cambiata a Zaccheo. Da questi "Sì" nasce qualcosa. Qualcosa che non cambia solamente la vita di chi lo pronuncia. Qualcosa che va oltre. Nel caso di Zaccheo, ad esempio, va verso i poveri, e sicuramente quel percorso non si è fermati lì. Quel grido insomma apre una strada nuova.
Sappiamo dai Vangeli che Gesù ha gridato dalla Croce, ha gridato: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; cfr Mt 27,46), e ha gridato ancora una volta alla fine. E questo grido risponde ad una dimensione fondamentale dei Salmi: nei momenti terribili della vita umana, molti Salmi sono un forte grido a Dio: “Aiutaci, ascoltaci!”. Proprio oggi, nel Breviario, abbiamo pregato in questo senso: Dove sei tu Dio? “Siamo venduti come pecore da macello” (Sal 44,12). Un grido dell’umanità sofferente! E Gesù, che è il vero soggetto dei Salmi, porta realmente questo grido dell’umanità a Dio, alle orecchie di Dio: “Aiutaci e ascoltaci!”. Egli trasforma tutta la sofferenza umana, prendendola in se stesso, in un grido alle orecchie di Dio. (Benedetto XVI, Lectio divina, Giovedì 18 febbraio 2010)
Rovistiamo allora dentro di noi e preghiamo con il nostro urlo. Saliamo sul sicomoro, urliamo il nostro malessere a Dio in modo da permettergli di farci visita, da permettergli di farci una proposta, da permettergli di chiamarci per nome e condurci fuori. Gesù è la porta, la via, la verità e la Vita.
Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace. (Sant'Agostino d'Ippona)

sabato 29 aprile 2017

LENTI DI CUORE

Ed ecco, in quello stesso giorno, il primo della settimana, due dei discepoli erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. 
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto». 
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. 
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?». 
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane. (Lc 24,13-35)
Quante volte ci lasciamo andare e come i discepoli di Emmaus ci facciamo vincere dallo sconforto o dalla delusione!
Quante volte viviamo la nostra vita come se Gesù non fosse mai esistito, come se non lo avessimo mai incontrato!
Quante volte abbiamo la pretesa di educare gli altri senza aver prima educato il nostro cuore all'ascolto e alla preghiera!
Assomiglio a quelli che ormai organizzavano la loro vita senza di Lui, come i due discepoli di Emmaus, stolti e lenti di cuore a credere nelle parole dei profeti? (Papa Francesco, Chiesa del Getsemani, Gerusalemme, lunedì 26 maggio 2014)
Preghiamo, chiediamo a Gesù di affiancarci, sempre, senza mai stancarsi. Apriamo il nostro cuore. Ascoltiamo Gesù nel silenzio, riconosciamolo in quel pane spezzato e torniamo indietro tutte le volte che ne sentiamo il bisogno, come hanno fatto i discepoli di Emmaus.
La formazione richiede anche persone capaci di pazienza e di ascolto, che non pretendono risultati immediati, ma sappiano attendere e rispettare i diversi tempi di crescita delle singole persone. Per fare questo però occorre che coloro che assumono un tale compito, abbiano anzitutto scoperto la presenza del Signore nella loro vita, convinte che, soltanto specchiandosi in lui, possono realizzare la loro identità di formatrici, le quali sanno dare gratuitamente, senza attendere ricompense o gratificazioni. Anche a Gesù, del resto, fu necessario l’intero viaggio da Gerusalemme a Emmaus per poter entrare in comunicazione con i suoi discepoli. (Giovanni Paolo II, ad un gruppo di novizie, lunedì 10 aprile 1989)

lunedì 24 aprile 2017

PACE A VOI

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. (Gv 20,19-31)
La parola "pace", negli anni, soprattutto da metà del secolo scorso a oggi, ha visto perdere buona parte della sua natura, riducendosi a parola vuota da finale di Miss Italia o peggio ancora a motivo di guerra. Il saluto di Gesù, nonostante sia ripetuto tre volte in poche parole, infatti, passa quasi inosservato. Eppure, se Gesù lo ripete, deve essere importante!
"Per avere una vera Pace bisogna darle un'anima. Anima della Pace è l'amore, che per noi credenti discende dall'amore di Dio e si diffonde in amore per gli uomini. Questa è la chiave del Sistema della vera pace, la chiave di quell'amore, che si chiama carità. L'amore-carità genera la riconciliazione; è un atto creativo nel ciclo dei rapporti umani. L'amore supera le discordie, le gelosie, le antipatie, le antitesi ataviche e quelle nuove insorgenti. L'amore dà alla pace la sua vera radice, toglie l'ipocrisia, la precarietà, l'egoismo. L'amore è l'arte della pace; esso genera una pedagogia nuova". (Paolo VI, Santa Messa nella solennità di Maria Madre di Dio, 1 gennaio 1975)
Trovare e mantenere la pace nel nostro cuore è forse la cosa più difficile del mondo. Non perdiamoci d'animo, anche quando facciamo o subiamo cose che sono contrarie alla pace; dobbiamo renderci conto che da soli non possiamo farcela. Preghiamo, chiediamo aiuto a Gesù; chiediamogli di continuare a salutarci con quelle parole: "Pace a voi". Nelle piccole e grandi "ferite" della nostra vita, ricordiamoci di questo saluto. Sarà Gesù allora a mettere le sue mani nelle nostre ferite e noi potremo, così, ripetere con San Tommaso la più bella delle professioni di fede: "Mio Signore e mio Dio!".
"Che cosa è la pace? Che cosa può essere la pace sulla terra, la pace tra gli uomini e i popoli, se non il frutto della fratellanza, che si dimostrerà più forte di ciò che divide e contrappone reciprocamente gli uomini?". (Giovanni Paolo II, Santa Messa nella solennità di Maria Madre di Dio, Basilica di San Pietro, Giovedì 1 gennaio 1981)

domenica 16 aprile 2017

NON ABBIATE PAURA

Dopo il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L'angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: "È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete". Ecco, io ve l'ho detto». Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annuncio ai suoi discepoli. Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno». (Mt 28,1-10)
È il giorno più bello. È il giorno che Dio ha fatto per noi, per ciascuno di noi. È il giorno che ha cambiato la storia dell'umanità.
Oggi, a noi che spesso abbiamo paura di fare la volontà di Dio, l'angelo del Signore ci dice: "Non abbiate paura" (Mt 28,5). Fidiamoci di questo invito, di queste parole d'amore. Noi non possiamo capire i pensieri di Dio perché "come i cieli sono alti al di sopra della terra, così sono le mie vie più alte delle vostre vie, e i miei pensieri più alti dei vostri pensieri" (Is 55,9). Non scoraggiamoci di fronte alle difficoltà, di fronte al male che non riusciamo a comprendere. Fidiamoci di Dio. Permettiamo a Dio di lavorare su di noi. Come fossimo tronchi d'albero, facciamoci tagliare, scolpire, levigare dal Signore, affinché possiamo diventare parti di un bellissimo polittico.
Fidiamoci, Gesù è veramente risorto!
"Nel cuore di ogni uomo c'è, amici miei, il desiderio di una casa. Tanto più in un cuore giovane c'è il grande anelito ad una casa propria, che sia solida, nella quale non soltanto si possa tornare con gioia, ma anche con gioia si possa accogliere ogni ospite che viene. È la nostalgia di una casa nella quale il pane quotidiano sia l'amore, il perdono, la necessità di comprensione, nella quale la verità sia la sorgente da cui sgorga la pace del cuore. È la nostalgia di una casa di cui si possa essere orgogliosi, di cui non ci si debba vergognare e della quale non si debba mai piangere il crollo. Questa nostalgia non è che il desiderio di una vita piena, felice, riuscita. Non abbiate paura di questo desiderio! Non lo sfuggite! Non vi scoraggiate alla vista delle case crollate, dei desideri vanificati, delle nostalgie svanite. Dio Creatore, che infonde in un giovane cuore l'immenso desiderio della felicità, non lo abbandona poi nella faticosa costruzione di quella casa che si chiama vita. Amici miei, una domanda si impone: "Come costruire questa casa?". È una domanda che sicuramente si è già affacciata molte volte al vostro cuore e che ancora tante volte ritornerà. È una domanda che è doveroso porre a se stessi non una volta soltanto. Ogni giorno deve stare davanti agli occhi del cuore: come costruire quella casa chiamata vita? Gesù, le cui parole abbiamo ascoltato nella redazione dell'evangelista Matteo, ci esorta a costruire sulla roccia. Soltanto così infatti la casa non crollerà. Ma che cosa vuol dire costruire la casa sulla roccia? Costruire sulla roccia vuol dire prima di tutto: costruire su Cristo e con Cristo. Gesù dice: "Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia" (Mt 7, 24). Non si tratta qui di parole vuote dette da una persona qualsiasi, ma delle parole di Gesù. Non si tratta di ascoltare una persona qualunque, ma di ascoltare Gesù. Non si tratta di compiere una cosa qualsiasi, ma di compiere le parole di Gesù. Costruire su Cristo e con Cristo significa costruire su un fondamento che si chiama amore crocifisso. Vuol dire costruire con Qualcuno che, conoscendoci meglio di noi stessi, ci dice: "Tu sei prezioso ai miei occhi, ...sei degno di stima e io ti amo" (Is 43, 4). Vuol dire costruire con Qualcuno che è sempre fedele, anche se noi manchiamo di fedeltà, perché egli non può rinnegare se stesso (cfr 2 Tm 2, 13). Vuol dire costruire con Qualcuno che si china costantemente sul cuore ferito dell'uomo e dice: "Non ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più" (cfr Gv 8, 11). Vuol dire costruire con Qualcuno, che dall'alto della croce stende le sue braccia, per ripetere per tutta l'eternità: "Io do la mia vita per te, uomo, perché ti amo". Costruire su Cristo vuol dire infine fondare sulla sua volontà tutti i propri desideri, le attese, i sogni, le ambizioni e tutti i propri progetti. Significa dire a se stessi, alla propria famiglia, ai propri amici e al mondo intero e soprattutto a Cristo: "Signore, nella vita non voglio fare nulla contro di Te, perché Tu sai che cosa è il meglio per me. Solo Tu hai parole di vita eterna" (cfr Gv 6, 68). Amici miei, non abbiate paura di puntare su Cristo! Abbiate nostalgia di Cristo, come fondamento della vita! Accendete in voi il desiderio di costruire la vostra vita con Lui e per Lui! Perché non può perdere colui che punta tutto sull'amore crocifisso del Verbo incarnato". (Benedetto XVI, discorso ai giovani, Kraków-Błonie, 27 maggio 2006)
"Io prego che il Signore mi dia la voglia di fare la sua volontà? O cerco i compromessi, perché ho paura della volontà di Dio?". (Papa Francesco, omelia, Martedì 27 gennaio 2015)

venerdì 14 aprile 2017

CHI CERCHIAMO?

In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c'era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l'orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?». Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell'anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo». Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell'altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest'uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov'è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote. Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l'orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò. Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest'uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos'è la verità?». E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l'usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante. Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l'uomo!». Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». All'udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall'alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande». Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso. Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall'altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l'iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: "Il re dei Giudei", ma: "Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei"». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto». I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.  Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé. Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l'aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all'uno e all'altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto». Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù. (Gv 18,1-19,42)
La domanda che Gesù fa ai soldati risuona oggi anche in noi: chi cerchiamo?
Siamo sicuri di cercare Gesù? Siamo sicuri di cercare di fare la volontà di Dio? Durante le nostre giornate chi cerchiamo? Cerchiamo dei modi per far soldi? Cerchiamo di far carriera? Cerchiamo di soddisfare il nostro bisogno di affetto? Cerchiamo di essere notati? Cerchiamo un po' di pace lontano da parenti e amici? Cerchiamo, cerchiamo, cerchiamo... Cosa cerchiamo?
Eppure Gesù non è un pregiato tartufo nascosto in chissà quale bosco. Gesù è al crocicchio delle nostre strade. Gesù è a sedere nelle nostre cucine. Gesù è in coda davanti a noi in tangenziale. Gesù è accanto a noi in autobus. Gesù non si nasconde. Si fa trovare. Anzi, è lui che cerca noi di continuo. Ma noi cerchiamo Gesù oppure cerchiamo altro? Noi cerchiamo di fare la volontà di Dio oppure ci spaventa?
"Ecco la cosa sorprendente: la voce di Cristo ripete anche a voi: “Che cosa cercate?”. Gesù vi parla oggi: mediante il Vangelo e lo Spirito Santo, Egli è vostro contemporaneo. È Lui che cerca voi, prima ancora che voi lo cerchiate! Rispettando pienamente la vostra libertà, Egli si avvicina a ciascuno di voi e si propone come la risposta autentica e decisiva a quell'anelito che abita il vostro essere, al desiderio di una vita che valga la pena di essere vissuta. Lasciate che vi prenda per mano! Lasciate che entri sempre di più come amico e compagno del vostro cammino! DateGli fiducia, non vi deluderà mai! Gesù vi fa conoscere da vicino l'amore di Dio Padre, vi fa comprendere che la vostra felicità si realizza nell'amicizia con Lui, nella comunione con Lui, perché siamo stati creati e salvati per amore, e solo nell'amore, quello che vuole e cerca il bene dell'altro, sperimentiamo veramente il significato della vita e siamo contenti di viverla, anche nelle fatiche, nelle prove, nelle delusioni, anche andando controcorrente". (Benedetto XVI, viaggio apostolico in croazia, veglia di preghiera con i giovani, Zagreb, sabato 4 giugno 2011)
Alla severa domanda "Ma noi cerchiamo Gesù oppure cerchiamo altro?" Benedetto XVI risponde con una dolcezza commovente. Parole piene di speranza e di amore. Preghiamo allora, chiediamo a Maria di accompagnarci per mano in questa costante ricerca di Gesù, perché ci aiuti a capire che noi da soli non possiamo nulla, che non possiamo pretendere di essere perfetti. Inginocchiati davanti alla croce di suo figlio chiediamole di aiutarci a rialzarsi tutte le volte che cadiamo, di aiutarci a vedere Gesù tutte le volte che non lo riconosciamo, di aiutarci a fare la volontà di Dio tutte le volte che abbiamo paura.
"Cercate Gesù. Cercate la sua presenza nella vostra vita, sforzatevi di conoscerlo sempre più intimamente; e non abbiate paura di farvi conoscere da lui. Portate le vostre domande e paure al Signore, perché in lui scoprirete il vero senso della vita e la vostra vocazione in questo mondo. Amate Gesù. Dategli voi stessi nella preghiera, ricevetelo nei Sacramenti, adoratelo nell'assemblea dei fedeli. Amare Cristo è la vostra risposta al suo amore per voi; è rispondere a ciò che lui vi dice, soprattutto nelle Scritture e nell'insegnamento della Chiesa. Nel suo amore troverete l'adempimento alle vostre aspirazioni più profonde, e crescerete nella piena maturità spirituale. Testimoniate Gesù. Riponete fermamente la vostra speranza in lui e lasciate che le vostre parole e azioni parlino coraggiosamente di questa speranza agli altri. Servite Cristo nella vostra famiglia e negli amici, e in tutti coloro che incontrerete sul sentiero della vita". (Giovanni Paolo II, ad un pellegrinaggio di giovani dell'arcidiocesi di Boston, Sabato 22 aprile 1995)

giovedì 13 aprile 2017

CI AMA SINO ALLA FINE

Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugamano di cui si era cinto. Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi». (Gv 13,1-15)
C'è una frase di questo brano che scuote le corde del tempo, una frase che, anche se all'apparenza sembra avere un significato "a breve termine", a leggerla bene è "infinita" ed è quasi impossibile contenerla nella nostra mente: "Li amò sino alla fine". Fino alla fine della sua missione terrena, fino al compimento del suo mandato missionario. Eppure noi sappiamo che non è così. Noi sappiamo che i destinatari di cotanto amore non sono solamente gli apostoli ma, bensì, ogni Uomo di ogni tempo e di ogni luogo, siamo anche noi. Sappiamo che quell'amore non si estingue sul Golgota. Sappiamo che quell'amore non è finito. Sappiamo che ci ha amato, che ci ama e che ci amerà in eterno.
"La fornace arde. Ardendo, brucia ogni materiale, sia legno o altra sostanza facilmente combustibile. Il cuore di Gesù, il cuore umano di Gesù, brucia dell’amore, che lo ricolma. E questo è l’amore per l’eterno Padre e l’amore per gli uomini: per le figlie e i figli adottivi. La fornace, bruciando, a poco a poco si spegne. Il cuore di Gesù invece è fornace inestinguibile. [...] La fornace, mentre arde, illumina le tenebre della notte e riscalda i corpi dei viandanti raggelati. Oggi desideriamo pregare la Madre del Verbo eterno, perché sull'orizzonte della vita di ciascuna e di ciascuno di noi non cessi mai di ardere il cuore di Gesù, fornace ardente di carità. Perché esso ci riveli l’amore che non si spegne e non si deteriora mai, l’amore che è eterno. Perché illumini le tenebre della notte terrena e riscaldi i cuori". (Giovanni Paolo II, Angelus, Domenica 23 giugno 1985)
Preghiamo allora, chiediamo a Dio di scolpirci nel cuore questa frase - "Li amò sino alla fine" - in modo da poterla ascoltare in ogni istante della nostra vita, in questo Giovedì Santo, nei momenti di difficoltà, ma anche e soprattutto durante le cose di tutti i giorni.
"Poiché la vita è quella di tutti i giorni, dobbiamo imparare a percorrerla con i passi giusti, che sono tutti racchiusi in quella parola che ci attira e ci spaventa: "facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce". I passi che ci conducono alla felicità nel cuore del Padre sono i passi della nostra adesione e della nostra obbedienza al Padre e perciò della nostra fiducia nel Padre. Quando iniziamo il nostro cammino verso il cuore del Padre non voltiamoci più indietro, facciamo un passo dopo l'altro verso il Padre. Avremo spesso la tentazione di fermarci, chi non l'ha conosciuta? Avremo spesso la tentazione di tornare indietro, chi non l'ha provata? Gesù sa che obbedire al Padre non è facile, perché obbedire fino alla morte di croce richiede un amore che non finisce mai, una fiducia in Dio al di fuori delle nostre povere capacità di fiducia". (Mons. Giuseppe Pollano)

sabato 8 aprile 2017

OLTRE LA NOTTE

Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, Gesù mandò due discepoli, dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un'asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: "Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito"». Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Dite alla figlia di Sion: "Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un'asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma"». I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: condussero l'asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!». Mentre egli entrava in Gerusalemme, tutta la città fu presa da agitazione e diceva: «Chi è costui?». E la folla rispondeva: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea». (Mt 21,1-11)
L'acclamazione "osanna" per gli ebrei è un'acclamazione di gioia, ricorda il passaggio dalla schiavitù in Egitto alla Terra promessa, ricorda che Dio li ha salvati. In quell'osanna rivolto a Gesù c'è gioia e speranza, la speranza di essere salvati nuovamente. È un grido che dice "È giunto il momento del nostro riscatto, salvaci Gesù". Un grido che di lì a poco, però, si strozzerà attorno a due pezzi di legno. Colui che pensano essere il Messia sta entrando a Gerusalemme per essere ucciso. Pensiamo al trauma di queste persone... Molte non hanno capito la vera missione di Gesù, lo credono un re condottiero. Invece la corona di questo re sarà intarsiata di spine, il vino di questo re sarà aceto, il trono di questo re sarà una croce. Molti allora si fermarono qui e molti si fermano qui anche oggi. Non vanno oltre quelle due travi. Ma cosa c'è oltre?
"Il mistero pasquale di Gesù Cristo non si esaurisce nello spogliamento di Cristo. Non lo chiude la grande pietra messa sull'entrata del sepolcro dopo la morte sul Golgota. Il terzo giorno questa pietra verrà rotolata via dalla potenza divina e incomincerà a “gridare”: incomincerà a parlare di ciò che san Paolo ancora esprime in queste parole dell’odierna liturgia: “per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Fil 2, 10-11). Redenzione significa pure esaltazione. L’esaltazione, la risurrezione di Cristo apre una prospettiva assolutamente nuova nella storia dell’uomo, nell'esistenza umana, sottomessa alla morte a causa dell’eredità del peccato. Al di sopra della morte sta la prospettiva della vita. La morte fa parte delle dimensioni del mondo visibile, la vita è in Dio. Il Dio della vita parla a noi della croce e risurrezione del suo Figlio. Questa è l’ultima parola della sua rivelazione. L’ultima parola del Vangelo. Proprio questa parola è contenuta nel mistero pasquale di Gesù Cristo". (Giovanni Paolo II, Omelia, Domenica 23 marzo 1986)
Preghiamo allora Dio Padre affinché ci mandi il suo Santo Spirito per vedere al di là della Croce, per vedere il sepolcro vuoto, per vedere la luce in fondo al tunnel, per andare oltre la notte, per credere nella resurrezione di Gesù, per credere nella nostra resurrezione, per credere nella vita eterna.
"Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza". (San Paolo di Tarso)