sabato 6 maggio 2017

CI CHIAMA PER NOME

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza». (Gv 10,1-10)
"Il pastore chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori". Queste parole ricordano l'incontro fra Gesù e Zaccheo. Un po' come la pecorella smarrita ricorda la storia di Giobbe.
Spesso si parla e si pensa di Zaccheo come un "chiamato", un "salvato" da Gesù che ha fatto il primo passo verso di lui. Però Zaccheo su quell'albero c'è voluto salire. Poteva starsene a casa o fra la folla, ma lui ha scelto di salire. Perchè? Forse aveva bisogno di qualcosa; forse tutte le sue ricchezze non lo rendevano felice. Era ricco, sì, ma in cuor suo si sentiva misero. Quel salire sul sicomoro è stato il suo modo di gridare a Dio il suo malessere. Come Giobbe, che dopo essere stato colpito in tutto quella che aveva (affetti, beni, famiglia, salute), urla, quasi bestemmiando, a Dio. Quel salire, quell'urlare è la scintilla che dà il via a un cambiamento nella loro vita. È un punto di rottura. È la cosa che permette a Gesù, a Dio di chiamarli e chiamarci per nome e di dire: "Eccomi, sono qui e sono qui per te". È la cosa che permette a Dio di farci una proposta. Poi Dio ci lascia liberi di accettare o meno. Spetta a noi rispondere sì o no a ogni proposta, in ogni giorno, in ogni piccolo bivio quotidiano. Sono scelte spesso controcorrente, che però ci cambiano la vita come l'hanno cambiata a Zaccheo. Da questi "Sì" nasce qualcosa. Qualcosa che non cambia solamente la vita di chi lo pronuncia. Qualcosa che va oltre. Nel caso di Zaccheo, ad esempio, va verso i poveri, e sicuramente quel percorso non si è fermati lì. Quel grido insomma apre una strada nuova.
Sappiamo dai Vangeli che Gesù ha gridato dalla Croce, ha gridato: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; cfr Mt 27,46), e ha gridato ancora una volta alla fine. E questo grido risponde ad una dimensione fondamentale dei Salmi: nei momenti terribili della vita umana, molti Salmi sono un forte grido a Dio: “Aiutaci, ascoltaci!”. Proprio oggi, nel Breviario, abbiamo pregato in questo senso: Dove sei tu Dio? “Siamo venduti come pecore da macello” (Sal 44,12). Un grido dell’umanità sofferente! E Gesù, che è il vero soggetto dei Salmi, porta realmente questo grido dell’umanità a Dio, alle orecchie di Dio: “Aiutaci e ascoltaci!”. Egli trasforma tutta la sofferenza umana, prendendola in se stesso, in un grido alle orecchie di Dio. (Benedetto XVI, Lectio divina, Giovedì 18 febbraio 2010)
Rovistiamo allora dentro di noi e preghiamo con il nostro urlo. Saliamo sul sicomoro, urliamo il nostro malessere a Dio in modo da permettergli di farci visita, da permettergli di farci una proposta, da permettergli di chiamarci per nome e condurci fuori. Gesù è la porta, la via, la verità e la Vita.
Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo. Eri con me, e non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te. Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai e anelo verso di te, gustai e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace. (Sant'Agostino d'Ippona)

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